Il primo incontro con l’osteopata potrebbe essere così composto: 30% accoglienza e ascolto, 50% anamnesi e valutazione, 20% terapia manuale. Si parla tanto e si tratta “poco”, spesso la prima visita osteopatica è proprio così; nonostante ciò il risultato è sorprendente.
Il motivo è perché quel “poco” che viene trattato rappresenta l’ingranaggio giusto. L’osteopata fa il famoso “poco ma buono”. L’osteopata non spara contro il corpo una mitragliata di tecniche sperando che qualcosa vada a segno, bensì come un cecchino spara un colpo per colpire la causa. Per fare ciò è necessario l’assoluto e completo ascolto del paziente.
Nel primo incontro si fa quello che per il paziente potrebbe apparire poco per non saturare un sistema già in difficoltà, per non turbare un corpo già infiammato o dolorante a sufficienza. Insomma, grazie all’importantissimo lavoro di intervista iniziale si riesce a comprendere quale sia gerarchicamente la cosa più giusta da fare per stimolare, senza correre rischi, il recupero di una migliore omeostasi.
Ogni mal di schiena è a sé; ogni corpo ha una storia; non basta dire “ho i cervicali” perché l’osteopata vada a mettere le mani sul collo, anzi nel primo trattamento il collo probabilmente non sarà nemmeno sfiorato… pur recuperandone la mobilità e funzione.
L’osteopata, concludendo, attraverso un’esaustiva serie di domande sul sintomo presente e sulla storia remota del soggetto, unitamente a test posturali e palpatori, individua le tecniche necessarie e sufficienti per stimolare la naturale capacità di autoguarigione che il corpo possiede. Solo così il corpo potrà trovare un benessere duraturo, basato su un equilibrio ben ponderato.