“Quando […] si semplifica all’eccesso […] la visione delle cose diventa piuttosto arida e, quel che è più grave, incompleta. Si cade facilmente nel riduzionismo, […] nel tentativo di riportare un fenomeno complesso a un’unica causa o spiegazione, si nega la ricchezza della sua stessa complessità e, nella frenetica ricerca del quid che spiega tutto, si finisce spesso fuori strada”.
(Ivancich V., 2018. Noi e l’albero)
Molto spesso giunge ai nostri orecchi la frase “devo aver preso un colpo d’aria” per giustificare un dolore al collo o alla schiena; può succedere dalla parrucchiera, in uno spogliatoio di palestra, o nel colloquio con un paziente in uno studio osteopatico.
La citazione, presa in prestito da un libro che nulla ha a che fare con l’osteopatia, spiega bene il fenomeno sotteso a questa frase. Nella ricerca di un motivo alle proprie sofferenze, escludendo molte, troppe, variabili anatomiche e storiche del proprio corpo, si fa comparire in scena un deus ex machina risolutore: il colpo d’aria.
Il colpo d’aria, così come in altre conversazioni può essere lo stress, rappresenta una semplificazione, una facile scusa per motivare alla ragione il perché di dolori muscolari. Sarà poi effettivamente così? Basta davvero così poco per mettere in crisi la “macchina perfetta” (così viene definito il nostro corpo dagli stessi del colpo d’aria)?
Non si nega che una fonte di freddo possa causare una nevralgia o una congestione digestiva, ma vien da pensare che la percentuale di coinvolgimento dell’aria condizionata o della corrente proveniente da una finestra come causa di dolori dell’apparato muscolo scheletrico e contratture sia molto più bassa di quanto si vorrebbe far credere. Ipotizzando di essere ad una riunione in un locale fortemente climatizzato con un collega seduto a fianco, se la spiegazione ai dolori fosse il colpo d’aria anche il collega dovrebbe soffrire di una qualche contrattura. Si comprende quindi come il problema sia legato al singolo individuo. L’eventuale ribasso termico non fa altro che agire su una propria debolezza, sarà l’organismo con un equilibrio precario a recepire questo stimolo come nocivo.
Ricorrere a questa spiegazione semplicistica seduce facilmente anche perché sgrava il soggetto da ogni responsabilità e dal dover approfondire la propria ricerca. È più facile dire “ho preso un colpo d’aria” piuttosto che “non faccio attività fisica da 3 anni”.
La scusante solleva dalla responsabilità della carenza, così come dell’eccesso, di movimento. “Ho mal di schiena, devo aver preso freddo tornato dalla corsa”. Più probabile invece che la schiena paghi l’eccesso di allenamento: non è riuscita a recuperare dopo i 5-6 allenamenti in 7 giorni; oppure dopo le 6 ore di tennis in una settimana dopo esser stato fermo per lungo tempo. Tale ipotesi responsabilizzante e che non prende in considerazione il colpo d’aria è tanto più valida quanto più si considera lo storico della persona: una lesione ai legamenti di un ginocchio, una brutta cicatrice da cesareo o appendicite, un vecchio colpo di frusta di 30 anni fa… tutte affezioni che vanno a ridurre le capacità adattative dell’organismo che poi viene sottoposto ad eccessivi allenamenti, o al contrario, eccessiva sedentarietà.
Ecco quindi una visione diversa dal semplice e imprevedibile evento atmosferico. Al presentarsi di dolori che prima di questa lettura avreste imputato al colpo d’aria, sarà bene quindi rivolgersi ad un osteopata, che vi aiuti a comprendere la complessità e le debolezze del vostro sistema, il corpo, togliendovi il costante timore della corrente d’aria.
Mirco Boccolini, osteopata Venezia Mestre.